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"Per avere cura dei diritti, facciamo sentire a casa le persone”

30/3/2015

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Essere o non essere. Qualcosa di universale da cui non ci si può sottrarre, volenti o nolenti. Secondo questa prospettiva il processo d’identificazione non può essere un interrogativo. Ci identificheremo in un gesto, in un quadro, in un luogo, in un tempo. Oppure non lo faremo, scegliendo di essere la negazione dell’essere. Sarà l’accordo contro il disaccordo, espresso attraverso le stesse mille sfumature delle quali siamo costituiti e per mezzo delle quali, attraverso le nostre interpretazioni, diamo forma al circostante, all’essere delle cose che esulano dalla nostra sfera di esistenza personale.

​Lo stesso Jung, nella sua ipotesi di inconscio collettivo, teorizzò un’energia psichica orientante, una “carica” strutturante della coscienza umana in grado di generare pulsioni dinamiche trascendenti le culture.


Osservando quanto oggi siano radicati all’interno della routine quotidiana gli utilizzi dei nuovi media, che per mezzo di sistemi di diffusione sempre più efficienti ed efficaci rimbalzano da un capo all’altro del mondo l’informazione, è facile accorgersi quanto la pulsione ad essere nelle cose di tutti sia estremamente forte.

Dopo l’attentato del 7 Gennaio 2015 alla sede della rivista satirica Charlie Hebdo, si è ritenuto opportuno promuovere una serie di appuntamenti che mettessero in nuce tematiche fondative della nostra società quali libertà, di espressione, cittadinanza e rispetto, iniziativa di NovaRes, AGE, Consulta Provinciale degli studenti con il supporto di Mondinsieme e Officina Educativa del Comune di Reggio.

Il primo incontro ha visto protagonisti Abdelhakim Bouchraa, studente universitario e presidente di Giovani Musulmani d’Italia, e il docente Augusto Valeriani, sociologo e ricercatore dei media all’Università di Bologna.

Come sottolinea Abdelhakim, essere significa “incidere, non essere semplicemente parte di un ciclo (…) comprendere la realtà che sta intorno a noi stessi”. “Viviamo in un momento nel quale si erigono muri fisici o dove ci sono proposte di dividere il paese come in Palestina, in Ucraina (…) ma sopratutto si tirano su muri che mettono distanza tra noi umani, tra le nostre differenze. Stasera è opportuno creare dei ponti di comunicazione”. “Viviamo in un mondo globalizzato che dà opportunità di conoscere persone distantissime. Persone che magari conosciamo meglio del nostro vicino di casa – continua Abdelhakim Bouchraa – Sentiamo la voglia di conoscere chi è lontanissimo e magari non il proprio vicino. Chi si sente a casa darà il meglio per questa casa; chi è invece di passaggio, chi sente che questa casa non è sua, non sentirà mai che appartiene alla propria realtà e non ne avrà cura”.

Si dice che i due ragazzi che hanno colpito Charlie Hebdo siano cresciuti nelle banlieue parigine, dove si vive in contesti di profondo disagio, nonostante la cittadinanza francese. Il disagio e l’insuccesso personale possono essere tali da spingere a seguire piste violente.
​
“Ciò che è accaduto a Parigi, per me come persona di fede musulmana, è un tradimento dei valori dichiarati nello stesso atto. E’ come se l’Islam fosse stato rapito, quindi tradito”.

Abdelhakim prende in considerazione la valenza simbolica della matita nell’esprimere libertà di espressione e conoscenza. Ma nessuno ha in mente che la matita possa diventare un’arma. Ideologie e tradizioni religiose possono nascere nel nome del bene ma essere impugnate per fare il male.

Esistono “limiti morali che cambiano da paese a paese e da cultura a cultura”, laddove per qualcuno la satira è divertente per altri risulta offensiva, oltraggiosa, blasfema. “Se vogliamo essere concreti, non si può scherzare su tutto”. Nel 2008 il disegnatore Maurice Sinet, conosciuto con il soprannome di Siné, pubblicava una vignetta satirica riguardante la conversione all’ebraismo da parte di Jean Sarkozy, figlio dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy. La pubblicazione, ritenuta antisemita, provocò l’immediato licenziamento del vignettista.

Augusto Valeriani fornisce una concezione estremamente ampia – da ateo marxista, per sua stessa definizione – della libertà di espressione, quale uno degli elementi democratici essenziali del vivere insieme, toccando un punto cruciale.
​
“Tutti dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei contenuti prodotti all’interno dei sistemi culturale, sociale e politico”.

​Quindi la vignetta pubblicata da un giornale danese viene fatta circolare anche in Libia e questo determina delle conseguenze all’interno di un contesto socio-culturale diversissimo da quello di partenza. “Limitare questo scambio non sarebbe giusto. Siamo noi che dobbiamo crescere. E’ una sfida. Occorre un necessario investimento nei confronti dell’educazione alla comprensione e alla comunicazione”.


Altro punto cruciale è il rapporto tra dimensione religiosa e la cittadinanza. A partire dalla rivoluzione francese, la Francia come stato laico ha determinato un’idea forte e radicata sulla religione come fatto prettamente privato. Per l’Italia è diverso.

Ma la matrice che decreta l’effettività del fallimento di uno stato sta nella misura in cui determina cittadini di serie A e cittadini di serie B, o cittadini e non cittadini.

Questo è il grande prologo che lentamente, dopo numerosi strappi e lacerazioni, conflitti e minacce latenti, conduce, nel caso più estremo, al drammatico epilogo dell’attentato di Parigi, e, nelle forme più blande ma non per questo meno gravi, nell’auto-esclusione, nell’isolazionismo criminale, ecc.

L’interpretazione dei messaggi continuamente demandata agli individui con i quali ci relazioniamo produce scontri e incontri. Oggi viviamo in un contesto multietnico e multiculturale, il cui senso di unicum comunitario è in realtà definito dalle molteplici e variopinte comunità che lo arricchiscono, rendendo la nostra interpretazione della realtà molto più difficile. Si formano delle vere e proprie “Comunità Interpretative”, ci dice Valeriani.

“Nessuno interpreta da solo”, l’interpretazione “avviene grazie alle relazioni che avvengono in mezzo agli altri e questo è un sistema che ci confonde determinando reazioni. E con queste dobbiamo fare i conti”.

Non dobbiamo dimenticare l’articolo 21 della nostra Costituzione, dedicato alla libertà di Stampa, il cui testo chiarisce il diritto di tutti “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” ma altresì ad esercitare tale diritto con un occhio di riguardo al buon senso. Ritornando all’utilizzo benevolo o malevolo delle cose, il confine che separa una civile libertà d’espressione dalla diffamazione si fa sottile. Si può essere tutti d’accordo nel manifestare contro la violenza ma essere contrari al gridare a favore di quel tipo di libertà.

Tra le voci emerse anche quelle disaccordi che chiedono perché dovrebbe esser possibile criticare un politico o un’ideologia ma non una religione. Perché reagire violentemente quando questo accade, quando in una democrazia esiste la possibilità di querelare o censurare? Perché bandire lo spirito critico?

Valeriani definisce la nostra società “la società del rischio, con un senso di solidarietà estremamente forte ma estremamente effimero. Quando c’è una grande tragedia per un giorno intero viviamo un’emozione fortissima, ma a causa degli altri innumerevoli stimoli, dopo poco, passiamo oltre”.
Gabriele Mammi
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