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Diario di bordo di Anwal - Progetto CHAT

22/6/2018

 
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​"La giornata era iniziata con i miei piccoli confortanti rituali, sarei dovuta uscire di casa alle 6.20, dunque il the che avrei sorseggiato guardando il cielo dalla finestra del balcone sarebbe finito nella mia tazza termica a scaldare il mio viaggio fino a Milano, e la colazione con pane marmellata e ricotta era stata avvolta in un panno dello stesso colore che il cielo del mattino ci offre. Non poteva che evolversi in meglio un dì iniziato con tanto garbo e tranquillità.
Il primo giorno del corso di Formazione era tenuto da un antropologo che ci guidava nella scoperta del perché fosse nata la pratica della modificazione genitale femminile (ho deciso di chiamarla modificazione di proposito, e vi spiegherò perché). E del nostro relatore devo dire che aveva una bellissima capacità di porre domande, e ascoltare, accogliendo tutte le opinioni senza giudizio, a fine giornata infatti ci aveva detto che un bravo antropologo, è uno che sa fare le domande giuste.
Il nostro era un gruppo prevalentemente femminile, tra cui anche alcune donne somale (in Somalia è ancora praticata la MGF), sentirle parlare ha profondamente cambiato la mia opinione a riguardo, ho compreso il problema, ma soprattutto ho compreso perché non funzionano parte delle nostre strategie per eradicare la pratica.
Cos’è la MGF? Una tradizione radicata nel tempo in molti paesi africani, e in alcune tribù colombiane.
Per coloro che la associano a religioni, sappiate che è molto più vecchia dell’inizio dell’Islam, e in Egitto è praticata anche da cristiani ortodossi. Alle bambine dai 9 ai 12 anni vengono apportate delle modifiche agli organi genitali esterni, che possono essere estremamente demolitive o meno drastiche. Ma su internet potrete trovare informazioni dettagliate su tutti i tipi di MGF che esiste.
Perché si fa? Sempre nelle nostre discussioni col relatore, sono spuntate diverse idee, c’è chi pensa che sia un modo per controllare la donna, chi la ritiene un modo per inibire o diminuirne il desiderio sessuale di modo che non abbia rapporti pre-matrimoniali, o che si faccia come un rito di iniziazione per la bambina con tanto di festeggiamenti (l’esempio più vicino che mi viene è la festa della Cresima), ma forse la ragione più difficile da modificare è: “si fa perché si è sempre fatta”.
Come si può prevenire? Ci sono molti modi, alcuni dei quali fattibili ora, ma ve ne riparlerò
Noi in occidente siamo troppo aggressivi, indichiamo i genitori delle ragazze spesso usando appellativi come “barbari” e “crudeli”, e loro si sentono punte in vivo, a noi quel giorno avevano detto “i genitori non vogliono mai il male alle figlie, a volte sono costretti a farlo perché se no la figlia passerebbe tutta la sua vita ad essere esclusa dalla società, senza amiche e senza la possibilità di potersi sposare”.
E quando parliamo di mutilazione, queste donne che ho avuto piacere di ascoltare non considerano quello che è loro successo come mutilazione, per loro è una cosa naturale, nel loro ordine di idee non hanno subito nulla di che, certo non lo farebbero mai alle loro figlie, molte hanno anche deciso di dichiararlo pubblicamente e di cambiare, ma per loro, i problemi veri sono altri, come il lavoro, l’educazione o il futuro dei figli.
Il nostro atteggiamento impositivo fa sì che le comunità si chiudano, infatti facciamo congressi e incontri, dove sono difficilmente presenti queste ultime.
Quindi noi come pensiamo di cambiare le cose se passiamo il tempo a condannare e sdegnarci? Che non solo non risolve le cose, ma addirittura fa sentir emarginate, e può allontanare tutte le ragazze di seconda generazione che l’hanno subita.

In piena adolescenza, ma anche in giovane età, ci sono mille crisi esistenziali, in più la condizione di figli di immigrati aggiunge la disperata ricerca di identità, e se ci aggiungiamo anche un argomento così complesso, questo difficile equilibrio tra i due mondi potrebbe sgretolarsi, pensate se vi piacerebbe essere additati con pietà, e sentirvi dire alle spalle “ma a lei hanno fatto questo e quello”.
Queste considerazioni aleggiavano nella mia mente nel ritorno a casa.
L’incontro successivo sarebbe stato con dott. Omar, un ginecologo di origine somala, che lavora e insegna all’università di Firenze, dirige anche il primo centro italiano di “de-infibulazione”, non vedevo l’ora di sentirlo parlare, e le due questioni irrisolte (dolore e piacere sessuale) forse avrebbero trovato risposta.
Quel giorno arrivò (se no, non sarei qui a scrivere), io ripresi la mia inseparabile tazza termica e raggiunsi Milano di nuovo.
Le idee che avevo raccolto dall’incontro precedente erano state riconsolidate quel mattino. Avevo riscoperto che l’aspetto del dolore è fortemente collegato alla psiche, e che quindi, se costrette (come succede ora a molte giovani di seconda generazione), l’effetto a breve e lungo termine sarebbe stato estremamente diverso da ragazze che l’avevano attivamente voluto, e che si identificavano come donne proprio per questo, e dal punto di vista sessuale, erano più spesso le seconde a vivere serenamente e completamente i rapporti col marito rispetto alle prime, proprio per la questione psicologica. Dunque raccontava che nel suo ambulatorio, altamente frequentato da immigrati, le dinamiche erano diverse da quelle che noi tutti ci aspettiamo, erano e sono più vulnerabili le ragazze di seconda generazione rispetto a chi la propria identità l’ha costruita al paese di origine, anche attorno a questa pratica.
Ancora una volta ringraziai tutto il flusso di destini e fili intrecciati a me che mi avevano portato a vivere l’esperienza di questo corso di formazione. Per me che sono una dottoressa del futuro, comprendere le ragioni delle mie pazienti, ma soprattutto imparare a reagire nel miglior modo possibile per rendere i loro momenti in clinica più confortevoli era di fondamentale importanza.
L’ultimissimo incontro era nella mia amata Reggio. Ripresi in mano la mia mitica tazza termica, e con un the aromatizzato ai fiori, dono di un caro amico, raggiunsi a una velocità di 300 km/h la terra del mio cuore.
Quel giorno parlammo di cambiamenti, dei cambiamenti che potevamo attuare noi, dei metodi per indirizzare il problema sulla via della soluzione. E io come al mio solito mi stupii del modo meraviglioso con cui le idee nascono, si spargono, luccicano e sembrano avvicinare un futuro migliore come se fossero cannocchiali.
Ancora molto c’è da fare, ma prima di quel molto, è fondamentale raggiungere le menti di chi desidera apporre il suo pezzo di impegno verso la soluzione, e far incontrare quelle menti con chi è vittima.
Se non cambieremo approccio, una quantità indescrivibile di potenziale umano andranno persi. È una pratica che va eradicata, ma va eradicata con intelligenza e cautela, perché altrimenti il danno potrebbe essere maggiore del beneficio.
Vi parlo da giovane di seconda generazione. Ogni minimo riferimento all'identità e alla cultura, soprattutto se fatti con atteggiamenti poco cauti sono capaci di far crollare l’equilibrio, e se questo vale per me, immaginate chi ha da aggiungere anche un problema mondiale come la MGF."



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