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Il 25 dicembre 1996 persero la vita Anpalagan Ganeshu e centinaia di migranti, "i fantasmi di Portopalo"

7/10/2013

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​Il mare inghiotte anche la nostra commozione, da Lampedusa a Portopalo? Davanti a certi eventi, è un dovere recuperare la memoria, per capire che da anni la gente perde la vita in mare. Decide di emigrare, portando con se l’entusiasmo della speranza. Il Mediterraneo è la frontiera sud dell’Europa. Non c’è stato bisogno di costruire muri, le onde bastano da sole. Parliamo dell’incendio della nave di Lampedusa che ha scosso l’Italia giovedì 3 ottobre. Parliamo anche del naufragio della F174 nel Natale del 1996, al largo di Portopalo di Capo Passero.

​La situazione ha tre attori principali. Da una parte c’è l’affarismo di scafisti, dall’altra parte c’è il timore di perdere voti dei governi europei, poi gli emigranti che prendono la strada del mare, che sono visti come fonte di denaro e ospiti non graditi, che bussano a una porta destinata a restare chiusa, almeno, finché non vi è l’approdo sulla terraferma. In questa situazione, la spinta umanitaria a salvare la vita di persone che scelgono di andare verso una vita migliore a tal punto da mettere in gioco il proprio respiro, il proprio battito di cuore, il proprio passato riesce a compensare, nel tempo e nello spazio del soccorso, le difficoltà che queste persone dovranno affrontare dal punto di vista bucocratico.

I soccorritori aprono la porta su un corridoio irto di ostacoli, quasi labirintico. Il muro legislativo derubrica migliaia e migliaia di persone allo stremo, in dialogo con il loro avvenire, a questione amministrativa: “clandestino” si dice, con un errore logico e semantico, poichè l’etimologia della parola spiega che clandestino è colui che viaggia all’oscuro, nascosto, segreto, occulto, mentre qui si viaggia in mare aperto, alla luce dell’alba. Ciò che resta buio è la notte o la profondità del mare, che richiama i pericoli del viaggio e riporta indietro, alla guerra o alle condizioni nel paese d’origine.

“Mare, dentro di te sta il mio amore. Hai preso la sua anima e il suo cuore. Mare, riportala a riva, fammi parlare di nuovo con lei. Cercala ovunque, trovala, fallo per me. Mare riportami l’amore della mia anima. Insieme ai suoi compagni pellegrini di questo destino. Creature del mare, siete voi gli unici testimoni di questa storia. E allora ditemi: quali sono state le sue ultime parole prima di partire. Mare! Non sei tu il mare? E allora rispondimi!” – da Fortress Europe

Ciò che accade nel Mare Mediterraneo è complesso, tiene insieme molti livelli, tra cui la responsabilità dell’Unione Europea nei confronti di chi emigra, è profugo e chiede rifugio o asilo politico. La gestione dei confini ci costringe a riflettere sulla natura della Fortezza Europa, come l’ha chiamata Gabriele Del Grande, che dal 2006 ha cominciato a censire tutte le morti di emigranti verso l’Europa documentate dal 1988 a oggi: circa 19142 persone, solo quelle riportate nelle cronache giornalistiche di mezzo mondo, a cui aggiungere quelle passate in silenzio. Le uniche cose semplici di un dramma che si ripropone dall’inizio degli anni Novanta a oggi, con una routine accusatrice nei confronti dei governi europei e nord-africani, sono l’inazione di questi stessi governi e l’ostentata commozione quando i morti superano cifre significative e coinvolgono donne e bambini.

Di quanto è successo a Lampedusa – una nave alla deriva che affonda a causa di un incendio perchè i passeggeri accendono un fuoco sul ponte, dove ci sono tracce di benzina, per farsi notare ed essere salvati – colpisce, infatti, il rifiuto di tre pescherecci italiani ad aiutare le centinaia di naufraghi poichè la legge italiana, nello specifico la Bossi-Fini e il decreto Maroni sulla sicurezza che introduce il reato di clandestinità, reputa complici di tale reato chi aiuta ad arrivare sulla costa italiana senza documenti regolari. Possiamo definire tale atteggiamento “respingimento indiretto”. Inoltre, colpisce l’ingenua assenza di memoria che colloca i fatti dell’emigrazione verso l’Italia nel ghetto dell’allarme o dell’emergenza, senza constatare, una volta per tutte, che il processo è strutturale e peculiare della geopolitica mediterranea, almeno da due decenni a questa parte. La scena e la retorica di Lampedusa, contro la quale si stanno ribellando sindaco e residenti dell’siola, porta a declinare ogni questione politica della migrazione con il lessico emergenziale.

Ci si ritrova, così, in un impasse da cui escono, quali vittime, tutti i morti dimenticati che riposano sui fondali marini, i futuri emigranti, quelli in lizza per ottenere un permesso di soggiorno o lo status di asilo politico, fino ai giovani di origine straniera nati e cresciuti in Italia, etichettati come stranieri e migranti fino ai 18 anni e oltre. Dal profondo del mare al limbo normativo. Oggi, se abbiamo dichiarato lutto nazionale per la tragedia di Lampedusa, dovremmo anche riattivare subito il processo di riforma della legge sulla cittadinanza; intervenire per correggere le storture della legge sull’immigrazione, dal reato di clandestinità ai tempi di ottenimento dei documenti, sino alla gestione dei decreti flussi;  impegnarci per aprire un canale umanitario per i richiedenti asilo nelle istituzioni europee presenti nei paesi da cui fuggono; e tanto altro ancora. Alla commozione, segua l’azione, e il ricordo per quello che non accade in diretta televisiva.

Ricordiamo allora la tragedia di Portopalo, nel Natale 1996, a causa del naufragio della F174. Al largo delle coste siciliane, morirono 283 persone, principalmente di origine indiana, pakistana, cingalese, tra cui molti Tamil in fuga dalla guerra che imperversava in Sri Lanka. La vicenda è stata tenuta all’oscuro dalle autorità italiane e greche, come se non fosse successa. Grazie all’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, emerse la verità, raccolta nel libro “I fantasmi di Portopalo”. Ci fecero uno spettacolo teatrale Bebo Storti e Renato Sarti, “La Nave Fantasma”. Andò in scena al Teatro Niguarda di Milano, nel dicembre 2004. Consegnarono al pubblico una copia di una carta identità che pubblicò Bellu sul suo libro, una delle poche ritrovate sulla cresta del mare, quella di Anpagalan Ganeshu, 17 enne Tamil. Ce ne siamo dimenticati?

Damiano Razzoli
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