A Reggio Emilia ha incontrato gli studenti delle scuole superiori per Primavera senza Razzismo, il programma di eventi del Comune di Reggio Emilia e del centro interculturale Mondinsieme per la Settimana mondiale d’azione contro il razzismo promossa da Unar. Nell'introduzione dell'evento, l'Assessore alla città internazionale, Serena Foracchia, ha detto: “I giovani sono i veri rappresentanti della dimensione internazionale della nostra città. Per guardare al presente e al domani della nostra città e del nostro paese, c’è stato un segno politico molto importante: il Consiglio Comunale di Reggio Emilia ha approvato una mozione per sostenere la settimana d’azione mondiale contro il razzismo e ogni discriminazione”. Francesca Caferri, nel presentare il suo libro "Non chiamatemi straniero”, ha raccontato storie quotidiane di sogni e voglia di cambiamento. "Mohamed è il più bravo al suo corso di giurisprudenza, ma non può essere avvocato o giudice perché non è ancora cittadino italiano. Lui era piccolo quando è arrivato in Italia, aveva solo tre anni. I suoi fratelli minori sono cittadini italiani perché nati quando i genitori avevano già preso la cittadinanza. Per Mohamed, lo stato italiano chiedeva il certificato che non dimostrasse di non aver commesso reati penali in Marocco quando è giunto in Italia, ma aveva solo tre anni: quanti crimini può aver compiuto un bimbo di tre anni? Avere la cittadinanza significa potere realizzare i propri sogni”. La giornalista ha rivolto un appello agli studenti: “Prendete voi in mano questa storia perché non possiamo essere sempre noi a portarla avanti. Tocca a voi! Quanti conoscono Antonio Di Stefano? “Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti, uno in più” è il suo libro. Sulla sua carta d’identità c’è scritto angolano, però è nato a Busto Arsizio. Quanti download ha fatto del suo libro? Solo dieci mila per passaparola: 40 mila like su Facebook. Antonio è un ragazzo come voi che ha preso la penna e ha raccontato la sua storia. Spetta a voi raccontare la Nuova Italia. Dovete capire che fortuna a stare a Reggio Emilia. Per voi è normale tutto questo? A Reggio Emilia può sembrare normale. Ma scendete a Treviso, le panchine le hanno tolte per non far sedere gli stranieri e i figli degli stranieri”. Classi dell’istituto Motti e del Liceo Canossa hanno preparato domande a partire dal libro di Caferri, aiutate da Chiara Greco, educatrice di Mondinsieme: “Gli studenti ci permettono di leggere il presente perché i loro pensieri attivano confronti interessanti e testimonianze importanti che vogliono condividere”. “Delle storie che ha scritto quelle che le ha colpite di più è perché?” le hanno chiesto. “Ho fatto tantissime interviste. Ne scelgo due. Una è di Marco Wong, che ha studiato all’alberghiero perché gli servivano la matematica e l’economia per l’impresa della propria famiglia. Ha detto che la cittadinanza italiana non la prende neanche se me gliela regalano perché da quando è arrivato a Prato è sempre stato insultato e gli è satto detto di tornare al suo paese. È arrivato in Italia quando aveva un anno. La sua storia era piena di rabbia. Poi, però sogna, di notte, di diventare presidente della Repubblica Italiana. C’è anche la storia di Albana, in Italia da piccola con il papà che ha rischiato la vita con il gommone, nel mare Adriatico. Ha dovuto affrontate la lingua italiana e poi ha deciso di fare il Liceo Classico: ha ricevuto in un colpo solo, finiti gli studi, quattro offerte pagate di tirocinio. Rappresenta la voglia e l’idea della “meglio gioventù”. Il rapporto con diversità, nascita e identità è al cuore di due poesie lette dagli studenti: “A mio fratello bianco” di Leopold Senghor e “In memoria di Mohamed Sceab” di Giuseppe Ungaretti. È questa di un’attualità assoluta sul tema della cittadinanza: il poeta italiano nato in Egitto racconta la storia di una persona che considera suo fratello, che riposa nel camposanto di Ivry: “Io forse so solo che visse – dice – Non aveva più patria. Non era più marocchino, ma non era ancora francese”. “Non vogliamo che succeda questo – hanno detto gli studenti – Non vogliamo che si dica non aveva più patria, ai nostri coetanei che hanno origini straniere dobbiamo dare risposta”. Francesca Caferri racconta, a proposito, la storia di Joseph, che ha deciso di prendere la cittadinanza a diciotto anni perchè nato a Roma. Gli hanno detto di no, perché la madre, che non sapeva legger né scrivere, aveva sbagliato a registrare il suo paese di origine, non l’Italia, ma l’Eritrea, che non aveva mai visto. Una volta finita la scuola, gli hanno detto di tornare in Eritrea e così si è ritrovato clandestino, anche se ha sempre vissuto a Roma”. Joseph ha vissuto per sei anni come clandestino, ha rischiato di essere preso e messo un centro di identificazione ed espulsione. Oggi è in Italia, ha avuto una bambina, nata nello ospedale dove è nato lui. La madre, la sua compagna è italiana e lui ha ottenuto, così, il permesso di soggiorno come padre di una bambina cittadina italiana. “Tutti i giorni possiamo vedere come siano le nostre culture, i modi di vivere e relazionarsi – dicono le studentesse del Canossa – Nella nostra classe c’è anche differenza d’età e la sentiamo più forte di quella di provenienza”. Mariella ha portato la sua testimonianza: “Come vedete sembro straniera, ma non lo sono perché sono nata a Reggio Emilia e ho la cittadinanza italiana. Le persone non dovrebbero essere discriminate solo perché hanno colore diverso o hanno altre culture. Io sono originaria del Ghana, che è mio padre, ma l’Italia è mia madre”.
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